allora:
Eluana Englaro (Lecco, 25 novembre 1970 – Udine, 9 febbraio 2009) è stata una donna italiana che, a seguito di un incidente stradale, ha vissuto in stato vegetativo per 17 anni, fino alla morte naturale sopraggiunta a seguito della sospensione delle cure.
La richiesta della famiglia di interrompere l'alimentazione forzata, considerata un inutile accanimento terapeutico, ha sviluppato un notevole dibattito sui temi legati alle questioni di fine vita. Dopo lungo iter giudiziario, l'istanza è stata accolta dalla magistratura [1] per mancanza di possibilità di recupero della coscienza, ed in base alla volontà della ragazza, ricostruita tramite testimonianze.
Il caso Englaro, alimentato anche da notizie soggettive e divergenti riguardo alle sue reali condizioni fisiche [2] [3], ha portato alla luce alcune gravi lacune del sistema giuridico italiano per quanto riguarda vicende bioetiche analoghe, riaprendo il dibattito su una eventuale legge che prenda in considerazione forme di testamento biologico [4].
Il caso Englaro ed il contesto normativo
La vicenda di Eluana Englaro ha alimentato in Italia un ampio dibattito, mediatico prima, politico-istituzionale poi, sui temi legati alle questioni di fine vita. Una parte dell'opinione pubblica, prevalentemente vicina alla Chiesa cattolica, si è dichiarata contraria all'interruzione della nutrizione artificiale (mediante sondino nasogastrico), considerata equivalente all'eutanasia [5]. Un'altra parte del Paese, prevalentemente di area laica, ma anche ambienti vicini ad altre professioni religiose [6], si sono dichiarati favorevoli al rispetto della ricostruita volontà della diretta interessata pur in assenza di un formale testamento biologico.
Il punto principale delle divergenze riguarda l'alimentazione e l'idratazione, ossia se considerarle un trattamento sanitario (e dunque permettendo di configurarle come accanimento terapeutico, sulla base dell'art. 32 della Costituzione Italiana [7] e del Codice di Deontologia Medica) oppure ordinari mezzi di sostentamento (dunque configurando la loro sospensione come omissione o addirittura come una forma di eutanasia). Altro punto di discussione è se la loro eventuale sospensione possa essere effettuata da terzi in mancanza di una diretta ed esplicita volontà del paziente.
A livello internazionale, dal punto di vista scientifico e bioetico, sembrerebbe che le interpretazioni prevalenti siano quelle di considerare l'alimentazione e l'idratazione forzata, anche per individui in stato vegetativo persistente, come un trattamento medico liberamente rifiutabile dal paziente o dal suo rappresentante legale [8][9], mentre in Italia il Comitato nazionale di bioetica si è espresso (nel 2005) in modo differente ed ambiguo [10]. Il Codice di Deontologia Medica, riguardo alla sospensione dell'alimentazione, afferma che «se la persona è consapevole delle possibili conseguenze della propria decisione, il medico non deve assumere iniziative costrittive né collaborare a manovre coattive di nutrizione artificiale, ma deve continuare ad assisterla» [11].
Riguardo alla decisione sulla sospensione delle terapie da parte di terzi, lo stesso Codice di Deontologia Medica, all'articolo 34, afferma che il medico, in assenza di una esplicita manifestazione della volontà del paziente, dovrà comunque tenere conto delle precedenti manifestazioni di volontà dallo stesso [12], in aderenza alla Convenzione europea di bioetica del 1997, ratificata dal Parlamento Italiano [13].
Vicende giudiziarie
L'incidente stradale avvenne il 18 gennaio 1992, al ritorno da una festa a Pescate, paese alle porte di Lecco.
Secondo dichiarazioni della famiglia Englaro, appena resisi conto della situazione disperata di Eluana, hanno iniziato a chiedere ai medici la sospensione dei trattamenti.
Beppino Englaro ha iniziato a chiedere per via giudiziaria la sospensione dell'alimentazione artificiale e delle terapie nei confronti della figlia Eluana a partire dal 1999, portando a supporto della richiesta diverse testimonianze volte a dimostrare l'inconciliabilità dello stato in cui si trovava e del trattamento di sostegno forzato che le consentiva artificialmente di sopravvivere (alimentazione/idratazione con sondino naso-gastrico) con le sue precedenti convinzioni sulla vita e sulla dignità individuale [1].
Il procedimento è arrivato fino alla Corte di Cassazione che nel marzo 2006 ha respinto le richieste della famiglia Englaro per un vizio del procedimento. Il ricorso, a suo tempo, non era stato notificato ad alcuna controparte portatrice di un interesse contrario a quello di Eluana Englaro. Il ricorso era stato presentato ai sensi del citato articolo 32 della costituzione italiana: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana» [7].
A seguito di un nuovo ricorso del padre, la Corte di Cassazione ha rinviato il caso «ad una diversa sezione della Corte d'Appello di Milano». La sentenza numero 21748/2007 depositata il 16 ottobre 2007 ha stabilito due presupposti necessari per poter autorizzare l'interruzione dell'alimentazione artificiale:
Occorre che «la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno» [14].
Occorre altresì «che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l'idea stessa di dignità della persona» [14].
Con decreto del 9 luglio 2008, la Corte d'Appello Civile di Milano ha autorizzato il padre Beppino Englaro, in qualità di tutore, ad interrompere il trattamento di idratazione ed alimentazione forzata che manteneva in vita la figlia Eluana per «mancanza della benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno».[1][15]
Le Suore Misericordine di Como, che dal 1994 si sono occupate di Eluana presso la casa di cura Beato Luigi Talamoni di Lecco, si sono rifiutate di interrompere l'idratazione e l'alimentazione forzate manifestando la disponibilità a continuare ad assistere la donna. Per tale motivo il padre ha deciso di trasferire la figlia presso altra struttura ove dare seguito alle sue volontà (certificate nel decreto attraverso le testimonianze).
A seguito della decisione della Corte di Cassazione vi sono state varie manifestazioni, come quella a favore promossa dai Radicali Italiani[16] e quella contraria promossa dal giornalista Giuliano Ferrara. Sono stati inoltre presentati alcuni appelli, come quello dell'associazione Scienza & Vita[17] e quello del giornalista Magdi Allam[18] favorevoli alla continuazione delle cure e, sul versante opposto, quello dei Radicali di Lecco[19].
In riferimento a quest'ultima sentenza, entrambi i rami del Parlamento italiano hanno votato la promozione di un conflitto di attribuzione contro la Corte di Cassazione, ritenendo che la sentenza dell'ottobre 2007 costituisca «un atto sostanzialmente legislativo, innovativo dell'ordinamento normativo vigente», come indicato dalla relazione di maggioranza della Commissione Affari Costituzionali annunciata in aula il 22 luglio 2008[20]. Tale atto è stato respinto dalla Consulta.
La Procura della Repubblica di Milano ha a sua volta presentato ricorso contro il decreto della corte d'appello. Tuttavia il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Cassazione[21], scatenando altre polemiche.
Il 13 novembre 2008 la Corte Suprema di Cassazione ha respinto il ricorso della procura di Milano contro l'interruzione di alimentazione e idratazione artificiale, accogliendo così la volontà del padre di Eluana. Nel merito del provvedimento alcuni giuristi hanno criticato le motivazioni con cui la Cassazione ha rigettato il ricorso del pubblico ministero. [22].
Il 16 dicembre 2008 il ministro Maurizio Sacconi ha emanato un atto d'indirizzo che vieta alle strutture sanitarie pubbliche e quelle private convenzionate col Servizio Sanitario Nazionale l'interruzione dell'idratazione e dell'alimentazione forzate con la minaccia di escludere queste strutture dallo stesso [23]; lo stesso giorno, la casa di cura Città di Udine (che non fa parte del Servizio Sanitario Nazionale in quanto il Friuli-Venezia Giulia ne è uscito dal 1996) ha annunciato che una volta chiarite le questioni legali sarebbe stata pronta ad accogliere Eluana. Quasi un mese dopo la casa di cura tuttavia ha ritirato tale disponibilità.
Il 19 dicembre 2008 Marco Cappato (segretario dell'Associazione Luca Coscioni), Antonella Casu (segretaria dei Radicali Italiani), e Sergio D'Elia (segretario di Nessuno Tocchi Caino), hanno presentato denuncia verso il Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, presso la Procura di Roma, per violenza privata ed intimidazioni [24], in seguito al suo atto d'indirizzo[25] di pochi giorni prima.
Il 22 dicembre 2008 anche la Corte europea per i diritti dell'uomo ha respinto le richieste di varie associazioni contrarie all'interruzione dell'alimentazione e dell'idratazione non giudicando sul caso specifico ma semplicemente considerando la richiesta "irricevibile" in quanto «i ricorrenti non hanno alcun legame diretto».